Articoli
La poésie visuelle d'Attilio Fortini par Francesco Romanello
Samedi 28 mai 2011, nous avons le plaisir de vous inviter au vernissage d’inauguration de l’exposition d’Attilio Fortini, l'un des artistes italiens les plus intéressants de cette 22ème édition des « Portes ouvertes des Ateliers d’Artistes de Belleville ».
Né à Rio de Janeiro en 1961, Attilio Fortini passe son enfance sur les rives du lac de Iseo, à Sarnico, petite ville du nord de l’Italie. Ses deux plus grandes passions sont l'art et la philosophie, auxquelles il se consacre sans une réelle priorité entre les deux.
Sa personnalité polyédrique et ses multiples intérêts le portent à développer une activité artistique très variée et interdisciplinaire. Son parcours embrasse la peinture, le dessin, l’écriture, le mail art, le network art, la vidéo, la performance, l’installation, l’événement. Il aime expérimenter des nouveaux mediums et des nouvelles possibilités expressives, sans dédaigner les moyens traditionnels. Aujourd’hui il nous ouvre les portes de son atelier-habitation pour nous faire découvrir son univers visuel, poétique et protéiforme.
De matrice profondément philosophique, la démarche artistique d’Attilio Fortini soulève des questions ontologiques liées à l’art et à la création. Habité par un sens de chaos et de casualité de l’œuvre, sa production ne se présente pas comme une série de « résultats » mais plutôt comme une "action", un symbole du mouvement, une potentialité. Ce qui intéresse l’artiste n’est donc pas vraiment le geste artistique, quant plutôt la puissance qui le génère et le rend possible.
L’art de Fortini s’impose donc en tant que "projet", ce qui inclut aussi le lieu et les états d’âme de la performance artistique. Car l’œuvre n’est pas une "forme", elle est un "miroir", quelque chose de différent de nous, capable de refléter et faire réfléchir. L’œuvre ne doit pas confirmer nos convictions, elle doit les bouleverser. Voici donc dans sa capacité à nous poser des questions, la force innovante de cet artiste.
Publié le mercredi, 25 mai 2011 à sur l’Italie à Paris.net
Francesca Ancona intervista Attilio Fortini in merito al suo libro Metafisica del successo
Allora chi siamo? Credo di aver perso la percezione della mia identità dopo le prime pagine del tuo libro Attilio…
Buon segno, intendo dire che è un buon segno non sapere chi siamo, implica che c’è al suo posto, al posto del saperlo, al posto d‘avere una risposta, il bisogno della sua domanda. Difatti sono le domande che ci fanno rimanere nella ricerca, non tanto le risposte. Le risposte concludono, finiscono qualcosa, l’esauriscono. Le domande invece stanno all’inizio: sono l’apertura ad un mondo nuovo. Ecco, mi piacerebbe esprimere in questo modo quello che siamo: l’inizio di qualcosa… qualcosa che c’incuriosisce, che potrà meravigliarci, a patto di non risponderci mai a voce troppo alta, a patto di lasciare sempre aperta la porta di una possibile ed ulteriore domanda. Siamo solo perché pensiamo, e pensiamo… solo perché non abbiamo una risposta definitiva su nulla: potrebbe andare?
Va benissimo :-)
Cosa ci differenzia dall’altro?
Non saprei proprio dirtelo. Ognuno è un mondo talmente sconosciuto, che proprio per questo è incomparabile. Come si può affermare che io sono diverso da te e tu sei diversa da me? Dovremmo poterci scambiare i nostri corpi, almeno per qualche ora, per cercare di dirlo. Io e te potremmo essere anche la stessa cosa; se vuoi è questa assurdità che il mio libro evoca dietro le quinte, senza mai poterla sostanzialmente affermare, e come potrebbe? Di fatto io posso vivere solo in me e tu in te. Parlavo d’assurdità perché in fondo l’identità è solo una supposizione. Certo, io e te non siamo la stessa cosa, ma semplicemente perché non possiamo dire il contrario. Già Aristotele in riguardo alla definizione di una qualsiasi cosa del resto l’affermava. In pratica diceva che non si può mai affermare cosa una cosa sia, ma piuttosto ciò che non è. Cos’è una mela? Risposta: boh. Cosa non è una mela? Non è una pera, un limone, ecc. Tornando alla tua domanda dunque potremmo forse dire: dall’altro in sostanza non ci differenzia nulla, anche solo per il fatto che non possiamo affermare il contrario; è un’ipotesi certo, ma perché non dovremmo prenderla in considerazione, allo stesso modo di quella più consueta che ci fa ritenere diversi dagli altri?
Tu vorresti dire nel tuo libro che noi siamo quel che siamo a seconda delle circostanze in cui viviamo, ma non sarebbe possibile pensare che in fondo quelle circostanze le abbiamo scelte noi con la nostra volontà? quindi se scegliamo siamo? ossia perché io scelgo questo e tu quello?
Sì, in effetti dato che non possiamo dire che esista una differenza tra me e te, ma che altrimenti se non ci fosse nulla avrebbe più senso, nel mio libro cerco d’individuarla, non tanto nella sostanza delle cose, ma in quella del movimento, dell’atto, ecc. La conseguenza è che la diversità non è più una questione d’identità sostanziale, sono grande, piccolo, ho gli occhi azzurri, marroni, ecc., che poi più di tanto, per il senso dell’esistenza, non è che c’interessi molto, ma una questione del fare: sono diverso dagli altri perché faccio qualcosa di diverso da loro, ed è questo fare diverso che mi caratterizza, quello per cui sono indispensabile a me stesso; ben inteso, il fare che ho scelto, il fare del senso intimo della mia vita, non quello della catena di montaggio per intenderci.
Il tuo rapporto con Dio
Il mio rapporto con Dio sta in quella supposizione che tra me e te non ci sia differenza, e di conseguenza tra tutte le cose, e che dunque in un certo senso ognuno di noi sia, senza poterlo sapere, una parte di questa cosa che chiamiamo Dio.
La conoscenza di se stessi quindi, solo un tragitto senza fine? senza il raggiungimento effettivo?
Non so se avrà una fine, ma se la supposizione di prima è corretta, abbiamo bisogno di non saperlo. Mi spiego: l’unica cosa chiara che abbiamo in tutto questo discorso, è che siamo immersi completamente nell’ignoranza. Ora, se noi fossimo Dio: che Dio saremmo così pieni d’ignoranza come appariamo? L’idea di Dio gode di ben altra considerazione! Egli, se non proprio sapere per filo e per segno tutto quello che c’è da sapere, come minimo dovrebbe almeno avere un progetto, altrimenti che Dio è? Ecco, il mio rapporto con lui è quello di far parte del suo progetto, per intenderci: c’e un motivo per cui vivo, anche se questo mi sfugge completamente, ma forse è proprio per questo che gli servo, per far luce dove luce non c’è, ed è per questo che mi lascia, che ci lascia, nell’oscurità, forse proprio perché nemmeno lui conosce precisamente cosa ci compete: il motivo della nostra libertà?
Ma è proprio necessario all’uomo produrre? Il senso della vita non potrebbe basarsi solo sul godimento delle cose naturali del creato? natura, sole, amore, sesso ecc.
Sembrerebbe proprio di no, pare che come per far funzionare il computer servano l’1 e lo 0, altrimenti non si accende, così anche noi abbiano bisogno per funzionare di fare e produrre qualcosa per sentire che abbiamo un senso, inoltre pare che non possiamo farlo diversamente che attraverso il bene ed il male; tutto ciò sembrerebbe dunque solo una questione di programmazione, probabilmente bisognerebbe cambiare il linguaggio primario, ma non credo che ormai sia più possibile; possiamo comunque cercare di non farci troppo del male, questo sì.
Se Gesù non fosse esistito non ci sarebbe stato nessun culto di Dio?
Gesù era una gran brava persona, nonostante gli sforzi dei catechisti e di qualche prete non sono mai riuscito a volergli male del tutto. Me lo vedo con simpatia hippie ante litteram con i lunghi capelli e barba incolta predicare pace e amore ai suoi discepoli, i quali, seppur non afferrino immediatamente perché non debbano rompersi la schiena con le reti da pesca e piuttosto si debbano fare pescatori d’anime, comprendono comunque con estrema lucidità il succo della questione: non si vive di solo pane, così come nemmeno di solo pesce. Credo che non fosse comunque sua intenzione divenire un Dio, ma non avendo fatto nulla per dissipare il dubbio, l’occasione per i posteri era troppo ghiotta. E cosa c’è di meglio di un Dio fatto uomo per poter mitigare le incertezze sull’esistenza o meno di Dio? Di certo è anche per questo che il Cristianesimo è divenuto una delle religioni più diffuse, non comunque l’unica, ma credo che il messaggio del Gesù “brav’uomo” che accennavo in precedenza, rimanga sempre valido per cercare di non farci troppo del male, nonostante al male non si possa necessariamente sfuggire; la sua fine del resto è la miglior testimonianza di ciò, non ti pare?
Certo…
Quanto il successo è necessario all’uomo?
Attorno a questo termine credo ci sia molta confusione, ed è anche per questo che ho voluto farne uno dei temi principali del mio libro. Oggi il successo è visto principalmente come il modo per acquisire dei privilegi nei confronti degli altri. Credo che questa visione sia distorta, non sia appunto nell’ottica di qualche cosa di veramente importante per tutti, che valga appunto la pena d’essere ricordato, rivissuto, ripensato, ossia che valga veramente la pena di succedere nel futuro. Per tornare al nostro Gesù, ecco, in una persona di tal genere ci vedo molto bene il campione del successo, di qualcuno che è stato in grado di proporre con la sua esistenza qualcosa che valga la pena continui a succedere, nonostante egli non ci sia più. Oggi si scambia facilmente la fama, la notorietà, la riuscita personale, al successo, ma questi non lo sono effettivamente. Il senso del successo non è quello d’essere un mezzo per acquisire privilegi individuali, ma piuttosto di rimarcare la portata di novità, d’originalità dell’individuo, a favore di tutti, per il beneficio dell’umanità intera; è solo in questo senso che il successo può appartenere a qualcosa che vale la pena succeda, che vale la pena continui a succedere.
E’ interessante il pensiero dell’essere umano distruttore del prossimo a cui è negato il successo, eppure vediamo molte figure, come tiranni, terroristi, che affascinano delle categorie, quasi un esempio per qualcuno, il male che vince sul bene. Perché questo?
Credo che un’altra categoria che si scambi facilmente con il successo sia il passare alla storia. Si sa che la storia non racconta solo dei buoni, ma di tutti coloro che sono per un qualche motivo passati alla storia, ma mi chiedo: tutti questi hanno anche avuto successo? Alla stessa maniera mi chiedo: tutti coloro che sono apparsi in televisione, hanno avuto successo? E’ improbabile credo, saranno più conosciuti di altri, questo sì, ma bisogna però rimarcare che il successo non lo stabilisce l’evento in sé, bensì il riconoscimento della sua importanza per chi l’ha vissuto. Mi pare che ci si debba capire sulla questione: il successo non è la notorietà, questa la si può acquisire in tante maniere, anche con degli atti riprovevoli; il successo a diversità, è quello che rimane in noi e che consideriamo positivo degli altri. Per capirci: c’e tanta gente che continua a vivere in noi, magari perché l’abbiamo conosciuta di persona o attraverso dei libri, dei film ecc. Ecco, sono queste le persone che hanno avuto successo, quelle che per un qualche motivo persistono positivamente in noi, che ci hanno fatto capire qualcosa, insegnato a gustare il senso della vita… Non per forza queste persone sono state in televisione o abbiamo appreso da loro dai giornali o dai libri, come viceversa può anche essere. Una persona di successo può benissimo essere anche l’anonimo vicino di casa che per un qualche motivo stimiamo. Sono queste le persone di successo, quelle che continuano a vivere e a succedere in noi, gli altri invece ci sono solo noti, è questa la differenza. Poi il criterio di positivo e negativo va anche detto è molto soggettivo, ed è per questo che pure persone non per forza reputate da tutti essere di buon esempio hanno successo, ma qui ci addentriamo nella psicologia individuale dei singoli, una strada difficile da valutare in modo generale.
Il successo prima della morte porta diffidenza perché solitamente tende ad un certo potere o a far sentire in qualche modo l’altro, chi non è riuscito, un fallito. Se tu avessi successo ora che faresti?
Io spero d’aver successo, credo che tutti in un modo o nell’altro lo speriamo. E’ il nostro unico modo per sentire d’avere un senso in questa oscurità che ci pervade, che il nostro vivere non finisca con la nostra vita: tutti vogliamo succedere. E’ per questo che sto rispondendo alle tue domande, perché spero che ti porterai via, non le mie risposte, ma un po’ della mia anima. Sarai tu che farai o meno il mio successo, io non posso nulla da solo. Se avessi dunque ora successo, probabilmente non farei nient’altro di più che essere contento.
Simpatico :-) …L’immortalità sarebbe la fine dell’unicità?
L’immortalità farebbe la consapevolezza d’essere Dio, ma pare che questo tipo di coscienza non sia all’ordine del giorno. Per il momento ci basti sapere che siamo mortali, e che tramite il successo, ossia la possibilità di comunicare qualche cosa agli altri di noi, esista in noi anche qualcosa che ci travalica: un barlume d’eternità, un barlume di divinità. L’immortalità, quella ipotetica della fantascienza invece, sarebbe la fine del tempo, qualcosa che non riusciamo nemmeno a concepire, e che non fa per noi. Sarebbe la fine del senso dell’uomo, questo è certo, l’uomo non si potrebbe più chiamare così.
Questo tuo libro non è solo una perfetta analisi esistenziale ma è anche una denuncia contro il sistema sociale. Come uscirne fuori senza divenire degli emarginati?
Bisogna dire che il vivere sociale si è sedimentato in certe regole che hanno come interesse solo la sopravvivenza del sistema sociale, non sempre anche degli individui. In ogni organizzazione che si rispetti vale il motto: tutti si è utili e nessuno è indispensabile. Alla propria vita invece si è sempre indispensabili, e mai sostituibili. Questo produce una frattura. I motivi del sistema sociale e quelli dell’individuo sono perciò quasi sempre in antitesi, dunque che fare? Se non si vuol continuare sulla strada della disumanizzazione dell’uomo, forse converrebbe investire di più nel cercare di far divenire i sistemi sociali più umani. Forse questa potrebbe essere una via per non doversi per forza emarginare nel tentativo di sopravvivere esistenzialmente.
Attilio perché hai scritto questo libro, cosa ha scaturito queste riflessioni? c’è sempre un motivo di partenza (se troppo personale puoi anche non rispondere).
Il fatto che nella società sia sempre più presente, attraverso lo sviluppo degli strumenti di comunicazione, la dimensione virtuale, ha fatto sorgere in me la voglia d’approfondire la questione. Inoltre il successo è ormai uno di quegli imperativi morali che nessuno si sognerebbe più di mettere in discussione. Tutti desideriamo averne, ma le ragioni profonde di questo desiderio, credo che un po’ ci sfuggano. È per questo motivo che sono nate le riflessioni di questo libro. L’argomento non si è di certo esaurito qui, ma credo che ora gli spunti per trattarlo siano aumentati, difatti fino ad oggi questo argomento non aveva a mio avviso ancora avuto l’attenzione che meritava, forse perché considerato un po’ frivolo o forse perché troppo relativo alla vanità personale. Credo invece che nel successo vi sia in gioco qualche cosa di molto più necessario, di metafisico appunto, e che esso, se considerato nel modo corretto, senza pregiudizi dunque, possa dimostrare qualche cosa di ciò che l’uomo è nella sua essenza, il motivo del suo essere. È un’ipotesi, ma degna d’essere approfondita, proprio perché questa dimensione ci sta riguardando sempre più. La vita, è sotto gli occhi di tutti, sta diventando indubbiamente sempre più artefatta; l’arte è sempre più presente in tutte le sfere del nostro vivere quotidiano, e non è più fruibile e realizzabile solo da un’esclusiva élite di persone. Riflettere su ciò che concerne la percezione del nostro vivere dovrebbe a mio avviso divenire sempre più un’abitudine diffusa, in modo da permettere di possedere gli strumenti adeguati per valutare criticamente questo nuovo mondo che sempre più appare, non solo circondarci, ma coinvolgerci in prima persona. Queste le motivazioni ufficiali. Intimamente invece penso che fosse il comprendere perché io non avrò mai successo, ma ciò rimanga tra noi, altrimenti più nessuno acquisterà il mio libro.
Ahaha grazie!
Pubblicata il 4 Maggio 2010 in beautifulcontrocorrente.com